The Italian Wife

London explained by a very Italian villager adopted by a very multiethnic family

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28 settembre

April 15, 2018 by Daria Simeone

Come dicevo i miei genitori sannito-irpino-napoletani non hanno molto in comune, a parte le nipoti e la passione per Elena Ferrante e Montalbano, con quelli irlandesi-inglesi-sudanesi di Zi. La madre di Zi, per intenderci, è stata trasportata su un aereo da un trafficante di droga da Mogadiscio a Nairobi durante i fatti del Black Hawk Down, mentre mia madre ha preso un aereo (di linea chiaramente) per la prima volta a 65 anni, ma in compenso ha occupato le case popolari di Capolatorre ad Atriplada e Rione Aversa, che più o meno, a livello di rischi letali, siamo lì.

Per questo il fatto che queste quattro persone, due a Juba, e due ad Avellino, si fossero sposate nello stesso giorno, il 28 settembre, l'ho sempre preso come un segno magico del fatto che anche io e l'anglo-arabo avevamo in fondo lo stesso destino.

Sarà per questo che io -che mai mi sarei voluta sposare - mi commuovo un po' ad ogni proposta di matrimonio su youtube, di quelle a sorpresa, con flashmob, inginocchiamento carpiato, fuochi d'artificio, cazzi e mazzi.

Ma mai e poi mai avrei immaginato che quella proposta la facessero a me. E infatti, PROPRIO MAI. Nemmeno quando mi è arrivato l'anello. Uno si aspetta la consegna, non dico assai, al tavolo di un ristorante romantico, luci soffuse, mano sulla mano, aragosta, Tiramisù... E invece l'ho trovato in una busta del duty free, mentre Zi era nel cesso appena tornato da un viaggio in Sudan, insieme ad una scatola a forma di cammello che aveva portato per Mia. "Ah sì, l'anello di fidanzamento. Ecco, quasi me lo scordavo".

Da allora ho immaginato cosa gli avrei detto se fossi stata io a chiedergli di sposarmi.

Che non c'è posto in cui mi sento più al sicuro che sotto la tua ascella.
Che sei bello come quel 31 agosto di 22 anni fa quando ti ho visto per la prima volta in Tedeschia.
Che, checché ne dica mia madre, hai imparato a fare un caffé perfetto, e se non è amore questo...
Che quando mi fai portare le formiche morte da Viola e ti urlo "oh come on, seriously!?" in realtà so che anche questa è la felicità.
Che quando la mia amica Antonietta ti ha conosciuto e mi ha trascinato in bagno per dirmi: "questo è un treno che passa una sola volta, prendilo" io ero già su, con biglietto di sola andata.
Che se ridiamo insieme e ci guardiamo come il primo giorno nonostante i tuoi cazettini lasciati a terra non c’è molto altro al mondo che possa separarci.
Che 2+2 fa molto più di 4.
Invece gli ho detto: “Ma se dobbiamo andare a rinnovare il passaporto di Mia a sto punto ci troviamo, sposiamoci, che ho trovato pure un vestito ed è l’ultimo, non vorrei che lo comprasse qualcun altro”.
E la notizia è che mi ha detto di sì lo stesso.
Allora che 28 settembre sia. E se la maggior parte delle persone, parlando di matrimonio, dice che nulla sarà più come prima, il bello è che invece tutto sarà come prima. (Giusto se si potesse lavorare sulla questione cazettini, ecco).

 

September the 28th

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As I said before my Samnite-Irpinian-Neapolitans parents do not have much in common, apart from the grandchildren and the passion for Elena Ferrante and Montalbano, with the Irish-English-Sudanese of Zi. Zi's mother, to give you an idea, was transported on a plane by a drug dealer from Mogadishu to Nairobi during the Black Hawk Down events, while my mother took her first flight (to go on holiday to Barcelona) when she was 65, but on the other hand she occupied Capolatorre council houses in Atriplada and Rione Aversa, which more or less, has the same level of lethality.

So the fact that these four people, two in Juba, and two in Avellino, got married on the same day, September 28th, I always took it as a magical sign that even me and the Anglo-Arab had the same final fate.

This is why I - who would never have wanted to get married- am moved a bit every time I watch marriage proposals on youtube, the surprise ones, with a flash mob, acrobatic kneeling, fireworks, etc. etc.

But never, ever did I imagine that this proposal was going to be done to me. And indeed, IT NEVER DID. Not even when I got the ring. One would imagine being sat at the table of a romantic restaurant, and I do not say much, dim lights, hand on hand, lobster, Tiramisu ... But instead, I found it in a duty-free bag, while Zi was in the toilet just back from a trip to Sudan, along with a camel-shaped box he had brought for Mia. "Oh yes, the engagement ring. Here it is, I almost forgot it. "

Since then I imagined what I would have said to him if I had asked him to marry me.

That there is no place where I feel safer than under your armpit.
That you are as beautiful as you were on the 31st of August 22 years ago when I saw you for the first time in Germany.
That, whatever my mother says, you have learned to make a perfect coffee, and if this is not love ...
That when you get Viola to bring me dead ants, and I scream "oh come on, seriously !?" in fact deep inside, I know that this is happiness too.
That when my friend Antonietta met you and dragged me into the bathroom to tell me: "this is a train that passes only once, take it" I was already on it with a one-way ticket.
That if we laugh together and look at each other like the first day despite your dirty socks left on the floor, there is not much else in the world that can tear us apart.
That 2 + 2 equal much more than 4.


Instead I said: "We have to go to renew Mia's passport so once we are there we might as well get married at the same time, I have also found a dress, and it's the last one, I would not want someone else to buy it".
And the news is that, even so, he said yes.
So September the 28th it is. Even if talking about The.Big.Day. most people use to say "nothing will be the same as before", the good news is that everything will be just like before. (Just, if you could, work on the socks business).

 

April 15, 2018 /Daria Simeone
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Di padre in padre. Di zeppola in pizzella

March 19, 2018 by Daria Simeone

Del papà del mio papà so poco. È morto prima che nascessi. So che era un uomo affascinante e scassacazzissimo. E so che faceva un leggendario sartù di riso e delle zeppole di San Giuseppe strepitose con sopra l'amarena.

Lo so perché per anni, soprattutto il 19 marzo, ho visto mio padre ripetere quei rituali culinari con la dedizione di chi, prendendosi tutto il tempo di dosare bene gli ingredienti e di far crescere l’impasto, ha qualcosa per cui chiedere scusa, ma non ha avuto il tempo di farlo.
 

L’ho visto preparare la pasta dei bigné nel silenzio di chi cerca gli odori che gli sono mancati per una vita. L’ho sentito presentare il suo sartù rievocando tavolate affollate dai suoi genitori e dai suoi altissimi 7 fratelli più grandi.
Sono certa che tutti i tuoi sartù sono arrivati a destinazione, papo. Oggi ti toccano le zeppole, ma stammi a sentire: a me LA ZEPPOLA DI SAN GIUSEPPE NUN M' PIACE (audio del tuono apocalittico del dio della Campanità che si è preso collera). Non la tua eh, proprio in generale. Ci ho provato, la crema sta bene, ma il bigné - insieme allo yoga, al pilates, al tonico per il viso, alle scarpe con la zeppa, ai multivitaminici, ai sandali coi calzini, ai pantaloni a zompafuosso - è una cosa che non capisco. Manca qualcosa (forse lo zucchero?) (messaggio vocale di Zia Giovanna dopo avermi letto: "azzia ma quello forse è tuo padre che non le sa fare").

Ai tuoi spaghetti con le vongole, alla tua pizza, al tuo sugo coi moscardini, ALLE TUE PIZZELLE FRITTE, in compenso, non manca niente. Ci sei dentro tutto tu, le tue guance che profumano di dopobarba, le orecchie più soffici del mondo, le ricette che ti chiedo ogni volta perché me le scordo. C'è Viola che ti chiama nonno-pizza e che ti fa i cori da stadio col vocione profondo ogni volta che ti vede, - “nonno nonno nonno” “pizza pizza pizza” etc - sperando di buscarsi una teglia di margherita. C'è Mia che si rompe apposta le calze e fa zompare i bottoni per avere un motivo per vederti, "perché nonno cuce benissimo". Ci siamo io e Au che non sappiamo fare la pizza né cucire ma che - con chi finiamo finiamo - restiamo gli "occhioni belli 'e papà".

Buona festa, papo del mio cuore, che sarai pure il più basso di 8 fratelli, ma per me sei irraggiungibile. E se non ci sono zeppole, come direbbe quella intenditrice di Maria Antonietta, mangiamoci le pizzelle, senti a me.

 

From father to (gran)father

About my dad's father I know very little. He died before I was born. I know he was very charming and a bit of a pain in the arse. And that he could cook a legendary rice pie and sensational Father's Day custard puffs with an amarena cherry on top.

I know this because for years, especially on the 19th of March Father's Day, I've seen my dad repeating those culinary rituals again and again, with the dedication of someone that - taking all the time in the world to dose the ingredients and to wait for the dough to raise -  has something to apologise for, but didn't have the time to do it in person.

I’ve seen my dad preparing the puffs dough in silence, as to recover the scents he’s been missing for a life time. I’ve heard him presenting his rice pie evoking tableful with his parents and his very tall 7 older siblings.

I’m sure all your rice pies reached their destination, dad. Today is custard puffs day, but listen to me: I don’t like Father’s Day custard puffs (sound of the thunder produced by a very upset god of Campania’s delicatessen). I don’t have a problem with your puffs, but with any puff. I did try to like it, the custard is ok, but the puff itself – like yoga, pilates, face tonic, platform heels, multivitamins, socks worn with sandals, cropped trouser – is something I do not understand. There’s something missing (sugar maybe?) (audio message from Auntie Giovanna after reading this: "what you talking about, must be that your dad doesn’t know how to make them!").

But in exchange, there’s nothing missing in your clams spaghetti, your pizza, your baby octopus in tomato sauce, YOUR DEEP FRIED PIZZELLE.  In them I see all of you, your cheeks that smell like aftershave, your smoothest ears, your recipes that I constantly ask you to send me as I constantly lose them. I see Viola that calls you granddad-pizza and that sings stadium chants every time she sees you withe her deepest voice- “nonno nonno nonno” “pizza pizza pizza” etc – hoping to get a tray of margherita. I see Mia that damage her tights and take off buttons on purpose just so that she has an excuse to see you “coz nonno is so good at sewing”.  I see me and Au that cant’ make pizza and can’t sew but – no matter whom we will end up with – we will always be “daddy’s big eyes”.

Happy father’s day, dad, you might be the shorter of 8 siblings but for me you are unreachable. And if there won’t be custard puffs, as Marie Antoinette would say, let them (and us) eat pizzelle. Trust me.

March 19, 2018 /Daria Simeone
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Speriamo che sia ̶f̶e̶m̶m̶i̶n̶a̶ libera. Anche di cacare

March 08, 2018 by Daria Simeone

A casa mia si è sempre detto "speriamo che sia femmina". Cosa che faticavo a capire e attribuivo al tentativo di mia madre di rendere più sopportabile per mio padre l'essere accerchiato da e assoggettato a donne: mamma, me e mia sorella, le sorelle di mia madre, le sue, il nostro cane asociale Luna. 

Forse se avesse avuto un figlio maschio sarebbe andato a vedere le partite di calcio? In ogni caso non si è poi perso molto e almeno per andare a pesca poteva portarsi mia sorella Au, che è sempre stata affascinata da questi sport minori. Tuttavia non capivo per quale motivo augurarsi di avere delle femmine visto che, per quello che capivo, facevano più fatica, prendevano più mazzate, avevano addirittura bisogno di aiuto, supporto, quote rose e tric trac.

Il dio delle città e dell'immensità mi ha mandato due figlie femmine. Mia, 4 anni e mezzo vissuti in tutù rosa e abiti da principessa, e Viola, un anno e mezzo, che quando le metti un tutù se lo mangia.
La preadolescenza di Mia è iniziata un paio di mesi fa, segnata da un passaggio fondamentale: prima per cacare cercava sempre compagnia. Il padre, me, la sorella neonata infilata nel bidet ad ascoltare – senza capire un cazzo - le sue teorie su Ryan di Toys Review che in realtà è un alieno, gli amici e i vicini di casa che si trovavano a passare dal nostro bagno. La preadolescenza, dicevo, è arrivata al grido di “Mamma chiudimi la portaaa!!” “Non entrate che puzzaaaa”.

Non voglio ora dire che la cagata privata segni il suo passaggio da bambina a donna, ma proprio due giorni fa, mentre Mia faceva cacca nel cessetto di scuola, metà dei suoi compagni di classe hanno fatto irruzione e l’hanno sbeffeggiata per la puzza. Fosse successo qualche mese fa, Mia non avrebbe fatto una piega, anzi, avrebbe offerto a ognuno del tè immaginario, chiesto a tutti di prendere posto e iniziato una delle sue cacate sociali in stile talk show in cui però il talk lo fa solo lei. Ma dal momento che siamo nella fase della cacata privata, non l’ha presa bene. Io neanche, mia sorella non ne parliamo e mia madre ha iniziato a sbraitare parole a caso al telefono intercalate da bullismo, cazzo, bullismo, eccheccazzo.

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Quando sono andata a chiedere a scuola, una delle maestre mi ha detto che può succedere – vero – e un'altra che aveva immaginato che Mia l’avrebbe presa "esageratamente male, VISTO CHE E’ UNA PRINCIPESSA". Ecco questa è una risposta di merda. Premetto: chi di noi, a 4 anni, non ha fatto irruzione in un cesso urlando all'amico evacuante "puzzaculo"? (Io no, ma infatti sono la Regina Madre). Quello che mi fa incazzare qui è che sia stato troppo facile per la Signora sdrammatizzare ironizzando sulla presunta “debolezza” di una bambina che si è messa (effettivamente) troppi tutù da finire per essere trattata da Principessa sul Pisello. E allora sì che le donne vanno aiutate.

Signora , lasci che la aiuti un attimo. Noi l’8 marzo non festeggiamo le donne perché sono più principesse degli uomini e quindi hanno bisogno di più supporto. Lo festeggiamo per ricordarci che l'unico supporto di cui abbiamo bisogno è quello reciproco, perché ogni volta che una donna lotta per sé stessa lotta per tutte le altre donne.  E mi creda c'è ancora bisogno di ricordarcelo a vicenda. 

 

Let's hope it's a girl

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In my family, I've always heard "Let's hope it's a girl". Which I never fully understood and thought it must have been my mum's attempt to make my dad feel better about his life being too full of "girls": mum, me, my sister, my mum's sisters, his sisters and my lunatic dog Luna. 

Maybe if he had a son, he would have enjoyed watching football more? Anyway, when he had to go fishing, he could take my sister Au with him as she always enjoyed these minor sports. Still, I didn't understand why you would want to wish for girls, considering that, from what I could see, they had to struggle more, they would suffer more, thus needing extra help, support, quotas for women in politics and business and all that jazz.

Then I had two daughters. Mia, 4 and a half years old, lives in pink tutù skirts and princess dresses, and Viola, 18 months old, who would eat the tutù skirt if you dare put it on her.
Mia's pre-adolescence started a couple of months ago with a milestone: before, when going for a shit, she always wanted company. Her dad, me, her baby sister stuck in the bidet (the ceramic thing that looks like a sing for dwarves but that Italians use to wash their privates), friends and neighbours passing by the toilet, all forced to listen to Mia's theories on Ryan from Ryan's Toy Reviews being an alien. The pre-teenager started screaming: “Mamma shut the door!!” “Don't come in coz it smells!”.

Now, I am not saying that the private poop marked her transition from girl to woman, but just 2 days ago, while Mia was taking a shit in her class toilet, half of her classmates stormed in and started laughing and teasing her about the smell. Up to a few months ago Mia wouldn't have even blinked, and she would probably have offered them a pretend cup of tea, inviting them to take a seat and starting one of her toilet talk shows, where she's the only one that does the talking. But since we are now in the private poop phase, she didn't take it too well. Neither did I, not to mention my sister and my mum who started shouting random words over the phone, including words like bullying, cazzo, bullying, eccheccazzo.

When I went to speak to the school staff, one of the teachers said this kind of thing can happen – true – and another female staff member said, obviously my daughter overreacted, AS SHE IS SUCH A PRINCESS. Well, this is a shitty answer. Let's be clear: who as a kid didn't storm into a toilet to mock a friend pooping by calling him a smelly bum? " (except for me, being the Queen Mother). 

What pisses me off though is that for this lady it was easier to belittle what happened by using sarcasm against a girl that wore (way) too many tutu skirts and to treat her like The Princess and the Pea. Well, then yes, women do need help.
So let me help you a bit, lady. On the 8th of March we don't celebrate women because they are more "princess-like" than men and need more support because of that. We celebrate to remind us that the first support we need is from each other, because each time a woman stands up for herself, she stands up for all women. And it looks like we still need to remind this to each other.

 

March 08, 2018 /Daria Simeone
women day, festa delle donne, 8 marzo
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Dove eravamo rimasti

February 26, 2018 by Daria Simeone

Il mio livello di salute mentale è inversamente proporzionale al numero di pellicciotti sintetici che compro. È un fatto. C’è chi per combattere l’ansia mangia, chi dorme, chi beve, e poi c’è chi ha i figli piccoli bulimici che si mangiano pure il piatto tuo (grazie alla mia amica Linda per avermi comprato quelli biodegradabili in modo che non gli restino troppo sullo stomaco), che in piena notte si svegliano come posseduti dal fantino Aceto del Palio di Siena e ti salgono sulla schiena facendo il verso della galoppata al trotto, e che appena ti concedi uno Spritz di troppo iniziano a spogliarti urlando tettaaaaaa tettaaaaaaa ad un volume sufficiente a rompere la barriera del suono, quella Corallina e quelle architettoniche, per assicurarsi che anche la bisnonna catalana seduta sulla panchina dall’altra parte della strada apprenda che diluisci il sacro latte materno con Aperol e prosecco (senza soda, pe’carità).

Quindi tolto il mangiare, il bere e il dormire non mi restano che i pellicciotti. Come una sorta di velata richiesta d’aiuto le mie amiche più strette ricevono mensilmente/settimanalmente le foto del nuovo pellicciotto via whatsapp e sono costrette ogni volta ad esprimere un giudizio – che in ogni caso ignorerò semmai dovesse essere critico - che è il loro modo per esprimermi vicinanza. Una di loro ieri – subito dopo aver inutilmente criticato il colore arancione del mio ultimo peluche – ha osato portare la conversazione su tematiche più profonde. Che si possono riassumere in “bilanci di vita di merda a 39 anni”. Poi dici perché compri un pellicciotto per ogni colore a Barcellona che fa un cazzo di caldo.

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Perché solo la loro sofficità e futilità mi salva dall’ansia dei bilanci di vita di merda a 39 anni (senza contare che i miei quest’anno saranno 40. Non contare, infatti.). E salva voi dal leggere della mia pesantezza irpino-decadente-quasi40enne. Non che questo blog debba far ridere per forza, ma non so se si possono stracciare le palle delle persone parlando per esempio di paura della morte in un blog che parla generalmente di cazzate, linguaggio gutturale di neonati e cibo di merda in quanto non italiano.
°°Audio di un messaggio di mia madre a caso: “Ma no ammamma, tu devi parlare anche delle tue paure, ci mancherebbe. E jà scrivilo un post sul fatto che stavi schiattando di paura venendo giù su uno slittino da neve, che mi hai fatto troppo ridere ahahahahah”°°. 😒

Insomma per 4 mesi non avevo molto da condividere e vi ho sparagnato questa uallera, ho riversato le mie ansie, paranoie, claustrofobie, slittino-fobie e pellicciotti sulle mie amiche-analiste. Ora sono tornata, abbracciatevi questa croce, cercherò di farmi leggiera leggiera. Alcuni dei miei pellicciotti, se avete freddo o paura di morire, li trovate presto su eBay. Mi siete mancati.

 

Where were we

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My level of mental health is inversely proportional to the number of faux fur coats I buy. It's a fact. There are those who fight anxiety over-eating, over-sleeping, over-drinking, and then there are those who have bulimic children who eat everything, even your plate (thanks to my friend Linda for buying us those biodegradable so that they are not too hard to digest), who in the middle of the night wake up possessed by Aceto the jockey of the Palio di Siena and climb on your back doing the trot and gallop, and who -as soon as you treat yourself to an extra Spritz -begin to pull your clothes off screaming "Boooob booooob" at a volume high enough to break the sound barrier, the Coralline one and the architectural ones, to make sure that even the Catalan great-grandmother sitting on the bench across the street is aware that you are diluting the holy mother's milk with Aperol and Prosecco (without soda, please).

So, if you take away the eating, drinking, and sleeping, the fur coats is all I have left. As a kind of veiled request for help my closest friends receive monthly / weekly the photos of the new fur coat via WhatsApp and are forced every time to give me a feedback - which I will ignore anyway if it's negative, but I take it as a manifestation of closeness.

One of them yesterday - immediately after having unnecessarily criticized the orange color of my last fluffy jacket - dared to take the conversation on deeper issues. Which can be summarized in "shitty life review at age 39". Then no wonder why you buy a fur coat for every color of the rainbow even in Barcelona, where it's so damn hot.

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Because only their softness and futility save me from the anxiety of shitty life reviews at 39 (not to mention that this year I will be 40. Do not mention it, in fact.). And it saves you from reading about my Hirpin-decadent-40-year-old heaviness. Not that this blog should make you only laugh, but I do not know if you can break peopleìs balls by saying things like "Oh I fear death btw" in a blog that generally talks about crap, newborns guttural language and shitty food because not-Italian.

°° Audio of a random message from my mother: "But no, sweetheart, you must also talk about your fears, that's normal. And come on, write a post about the fact that you were squealing with fear coming down on a snow sled, you made me laugh so much ahahahahah "°°.
😒

So for 4 months, I spared you this uallera (it's more than heaviness, a kind of a hernia), I poured out my anxieties, paranoia, claustrophobia, sledding-phobias and faux furs on my friends-analysts.

Now I'm back, embrace this cross, I'll try to make myself as light as I can. Some of my fur coats, if you're cold or you fear death, you will find them soon on eBay. I missed you.

 

Donde estábamos 

Mi nivel de salud mental es inversamente proporcional al numero de abrigos de pelo sintéticos que compro. Es un hecho. Hay quien para combatir la ansiedad come, quien duerme, quien bebe, y luego están los que tienen hijos pequeños bulímicos que se comen hasta tu proprio plato (gracias a mi amiga Linda por haberme comprado esos biodegradables así que pueden ser digeridos mejor) , que en plena madrugada se despiertan como poseídos por el jinete Aceto del Palio de Siena y trepan por tu espalda como si estuvieran galopando, y que en cuanto te concedes un Spritz demás empiezan a desnudarte gritando tetaaaaatetaaaaa con un volumen alto lo suficiente para romper la barrera del sonido, la Coralina y las arquitectónicas, asegurándose que hasta la abuelita catalana sentada en el banco de enfrente sepa que diluyes la sagrada leche materna con Aperol y Prosecco (sin soda, por supuesto!).

 

Así que quitando lo de comer, beber y dormir no me quedan que los abrigos de pelo. Como una especie de grito de auxilio, mis amigas másíntimas reciben mensualmente/semanalmente las fotos del nuevo abrigopor WhatsApp y cada vez están obligadas a dar una opinión – que voy a ignorar por si fuera negativa- que es su manera de expresar su cercanía. Una de ellas ayer – justo después de criticar el naranja de mi últimopeluche – se atrevió a llevar la conversación a temas mas profundos. Que se pueden resumir en “balances de vidas de mierda con 39 años”. Y luego te preguntas porqué compras un abrigo de pelo de cada color si en Barcelona hace un calor que te cagas.

Porque solo su suavidad y futilidad me rescata de la ansiedad de hacer balances de la vida de mierda con 39 años (sin mencionar que este año serán 40. Pues eso, no lo menciones). Y salva a ustedes del leer mi pesadez irpino-decadente-casi40ñera. No es que este blog tenga que ser obligatoriamente gracioso y divertido, pero no se puede agobiar a la gente hablando por ejemplo del miedo a la muerte en un blog que trata generalmente de tonterías, lenguaje gutural de los recién nacidos y de comida de mierda porque no italiana. 

Sonido de un mensaje al azar de mi madre: “Que no ammamma, tú tienes que hablar también de tus miedos, claro que sí. Venga, escríbelo un post sobre el miedo a la muerte que tuviste bajando con un trineo, me reí muchísimo, jajajajaj”.😒
Total que durante 4 meses no tuve muchos temas que compartir con ustedes y os he ahorrado este coñazo, he volcado mis ansiedades, paranoias, claustrofobias, trineos-fobias y abrigos de pelo en mis amigas-analistas. Ahora he vuelto, abrazad esta cruz, intentaré ser leve. Algunos de mis abrigos, si tenéis frio o miedo a morir, lo encontrareis pronto en eBay. Os he echado de menos.

 

February 26, 2018 /Daria Simeone
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La mia vicina indipendentista catalana

October 01, 2017 by Daria Simeone

Ogni mattina, in Africa, una gazzella si sveglia, sa che deve correre più in fretta eccetera eccetera.
Ogni mattina, a Barcellona io mi sveglio, e so che devo aprire Google Translator, bestemmiare e scriverci dentro le frasi in catalano che trovo sulle circolari della scuola di mia figlia per capire cosa mi hanno mandato a dire. "No vingueu massa d'hora per esperar fora de la porta d'on surten els vostres fills". 

Boh. Mi hanno anche detto che per noi italiani il catalano è facile. Deve trattarsi di un blocco psicologico.

Forse perché a me, lo ammetto, questa storia del catalano un po' mi indispone. E poi perché io sono decisamente per l'unione piuttosto che per la divisione, sono per la dipendenza più che per l'indipendenza, per il volemose bene. Sono una che ci mette anni a lasciare un fidanzato, figuriamoci quanto mi costerebbe lasciare un paese.

Due anni fa, quando mi sono trasferita a Barcellona, certa che lo spagnolo mi sarebbe bastato e avanzato pure, mi sono ritrovata come vicina di pianerettolo una vecchina 70enne indipendentista catalana, una di quelle, per intenderci, che sul balcone ha messo in fila la bandiera catalana, quella per il sì al referendum, quella per il no ai turisti e via così. 

Un anno dopo, quando sono andata a vedere le scuole per mia figlia, per poterne scegliere una, alcuni direttori scolastici e insegnanti mi rispondevano in catalano anche quando gli facevo le domande in castigliano. Roba da prenderli a craniate, pensavo.

Ci ho messo un po' di tempo, ma ora so che quella vecchina indipendentista catalana si chiama Maria, ha l'età di mia madre e - come lei - col cazzo che è una vecchina. Va a farsi i weekend a Ibiza con le amiche, è del segno dell'acquario, il mio preferito, è stata tra le prime persone a venirmi a trovare in ospedale quando ho partorito, ogni settimana mi porta le verdure della sua campagna a Tarragona, pupazzi glitterati per le mie figlie, persino dei regalini da "Tutto a un euro" per mia madre se le capita. 

Continuo a fare fatica a capire la causa catalana, figuriamoci a sposarla. Ma mi inchino davanti a una tenacia che forse non conoscerò mai. Perché oggi, mentre seguivo il voto del referendum interrotto dalle cariche delle polizia spagnola, ho chiamato Maria, per assicurarmi che stesse bene. E invece era al pronto soccorso. Era caduta durante le cariche fatte da decine di poliziotti-animali al suo seggio. L'avevano costretta, poi, ad inginocchiarsi. A 71 anni, urlandole addosso.

E allora sticazzi il catalano cacofonico e gli indipendentisti spocchiosi. Lo schifo della violenza della polizia spagnola è insopportabile. Lo deve essere per tutti. Soprattutto se mi toccano la mia vicina Maria, spacciatrice di zucchine, pomodori e pupazzi glitter. 

Quando Maria è uscita dall'ospedale con la gamba fasciata ci siamo abbracciate. La mia amica Anna, del Tg2, le ha chiesto "E adesso, dove vai?"

"Io? A votare, bellezza"._TIW

 

Mi vecina indipendentista

Cada mañana, en África, una gacela se despierta; sabe que deberá correr más rápido que el león,etc..

Cada mañana, en Barcelona, yo me despierto y se que tengo que abrir el traductor de Google y escribir las notas que me envían desde el colegio de mi hija para entender de lo que me están hablando. "No vingueu massa d'hora per esperar fora de la porta d'on surten els vostres fills". Bah.

Me habían dicho que para los italianos el catalán es sencillo. Tiene que ser un bloqueo psicológico.

Admito que probablemente esta historia del catalán me molesta un poco. Porque yo soy más bien a favor de la unión que de la división, por la dependencia mas que por la independencia, del querámonos juntos. Soy una persona que tarda años en dejar un novio, imagínate un país.

Cuando hace dos años me mudé a Barcelona, segura de que el castellano iba a ser más que suficiente, me he encontrado como vecina de rellano a una viejita sobre los 70, independentista catalana, para entendernos una de la que pone en su balcón la bandera catalana, la del si al referendum y la del no a los turistas.

Un año después, cuando fui a ver los colegios para mi hija, los directores y las maestras me contestaban en catalán incluso cuando yo les preguntaba en castellano. Les hubiera dado cabezazos.

He tardado un poco, pero ahora se que aquella señora mayor independentista catalana se llama Maria, tiene la edad de mi madre y, como ella, ni de coña la puedes llamar viejita. Se pasa los fines de semana en Ibiza con sus amigas, es acuario, mi signo zodiacal favorito, ha sido una de las primeras personas que vino a verme cuando di a luz, cada semana me trae verduras de su huerta en Tarragona, muñecos con purpurina para mis hijas y de vez en cuando hasta regalos del "todo a un euro" para mí madre.

Me sigue costando entender los motivos de los catalanes, así que ni de lejos podría apoyarlos. Pero admiro esta tenacidad que puede que yo jamás conoceré. Porque hoy, mientras seguía el voto del referéndum interrumpido por las cargas de la policia española, he telefoneado a Maria para asegurarme que estuviera bien. Pero se encontraba en urgencias. Se había caído durante las cargas de estos policías animales en su colegio electoral.

La habían obligado a ponerse de rodillas . Con 71 años, gritándole a la cara.

Pues entonces a la mierda el catalán cacofónico y los independentistas presumidos.

El asco de la violencia de la policía española no se puede aguantar. Nadie debería.

Sobretodo si me tocan a mi vecina Maria, traficante de calabacines, tomates y muñecos de purpurina.

Cuando Maria ha salido del hospital con la pierna vendada nos hemos dado un abrazo. Y mi amiga Anna, del telediario italiano del tg2, le ha preguntado "Y ahora a donde vas?"

"Yo? A votar, guapa"._ TIW

October 01, 2017 /Daria Simeone
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